Sono nata a 150 metri dalla spiaggia, in una città rigogliosa di verde. La mia appariva come una famiglia “normale”, ma in quei tempi non si prestava troppa attenzione affettuosa ai bambini. Si doveva rigare dritto, pena essere zittiti e castigati senza troppa delicatezza o compassione.

Da bambina mi ritrovai mio malgrado in una certa situazione scabrosa ma non ebbi nessuno con cui confidarmi, pertanto dovetti gestire da sola fortissime frustrazioni. La mia mente soffriva molto e il corpo reagì con l’ anoressia. Ero annichilita. Mia madre, con il beneplacito di papà, per convincermi a nutrirmi mi picchiava sistematicamente. I medici ci misero in guardia su come sarebbe finita per me; ormai ero denutrita gravemente. A scuola mi deridevano con ferocia e non potevo neppure difendermi, essendo astenica. Adolescente filiforme, mi rifugiai nel lavoro e nello sport dove appresi una postura improntata a un’irriducibile tenacia. Ebbi delle storie sentimentali burrascose che una volta concluse mi lasciarono svuotata e delusa. Fu lì, in quel passaggio di vita, che scoprii la sedazione da cibo smodato nonché di scarsa qualità. Incontrai poi un ragazzo che aveva il mio stesso problema in famiglia: ci fidanzammo, ci amavamo, e presto ci sposammo.
Mi sentivo molto meglio ora; ero finalmente entusiasta della vita. Ma dopo solo un anno e mezzo mio padre scomparve ed essendo io presente fisicamente ne ricavai un profondissimo trauma. E dunque il mio momento magico passò! Iniziò un lunghissimo periodo che mi vide intenta a curare il cupo lutto di mia madre. Pertanto il cibo per me divenne un consolante rifugio psicologico. Di nuovo optai per una sterzata benefica, una qualche novità professionale. Disgraziatamente scelsi di fare la cuoca. Divenni anche la responsabile delle scorte alimentari, per cui iniziai a mangiucchiare in continuazione. Un giorno un’amica comprò uno Stabilimento Balneare. Mi invitò a farmi carico dell’organizzazione della “moda pubblicitaria” del momento: offrire a mezzanotte il piatto nazionale, gratis, a tutti gli interessati. Così, due volte a settimana mi ritrovavo a cucinare una cena in più in un ambiente spensierato in cui si facevano allegre conoscenze. Presto il “vizio” di mangiare di notte mi conquistò e continuai anche a casa ad abusare del cibo dopo mezzanotte, in aggiunta alla cena consueta. Presi peso e mia madre iniziò a complimentarsi con me per il mio ritrovato appetito, precedentemente scomparso per moltissimi anni. Io, beota e inconsapevole, ne ero felice! Addirittura in pubblico, porgendo la mano mi presentavo così: “Piacere, D… rotonda & gioconda”.
Un giorno su Internet conobbi F., un ragazzo mite e generoso. Presto andai da lui, che abitava a 500 km da me, per conoscerlo. Lì il primo giorno scoprii un certo cibo tipico del luogo. Ne acquistai una bella quantità e ne mangiai ininterrottamente nella stanza d’hotel. Tornata a casa continuai imperterrita per settimane a pasteggiare con quel “cibo rosso”. Il giorno che vidi sulla bilancia “101 kg” ebbi un primo sussulto, ma nulla mi allarmò in realtà, né fermai quella sciagura. Nuovamente delle persone furono scortesi con me. Molte volte fui dileggiata pesantemente in pubblico per la mia immagine corporea. Stavolta non andavo bene perché troppo pingue. A quel punto mio marito mi mandò da vari dietologi ma il problema era che seguivo le diete, sì, ma solo per 30 giorni. Poi, al giro di boa del primo mese, la mia mente imbizzarriva: iniziavano gli incubi notturni, il nervosismo, la tristezza implacabile. Mi dicevo: “No, questa non è vita!” E ricominciavo con gli stravizi come prima.
Una sera, mentre stavo chattando su Facebook con F., una persona gli chiese se frequentasse ancora “la stanzetta”. Io domandai loro di cosa stessero parlando e per la prima volta appresi di OA. La sera stessa il mio amico mi mandò l’indirizzo di un gruppo a 25 km da me. Mi presentai, ascoltai, ma non capii praticamente nulla di ciò che dicevano. La conduttrice S. si mostrò gentilissima con me ma la trovavo troppo seriosa per i miei standard. Perseverai; per due anni buffamente sprecammo benzina poiché a causa dell’anonimato non sapevamo di abitare 300 metri l’una dall’altra. Diventammo buone amiche. Le trasmisi un tocco di allegria e in lei trovai un grande traino per entrare nei meccanismi OA. In poco tempo molti aspetti della mia vita migliorarono, iniziai persino a perdere moderatamente peso. Dopo 3 anni lei si trasferì per sposarsi e inaspettatamente il gruppo cessò di esistere. Persi di vista tutto il mondo OA ma la nostalgia era grande, tanto che fondai un gruppo di auto aiuto di stampo formativo-motivazionale prendendo spunto proprio da OA. Poi in Italia arrivò il cataclisma COVID. Lo passai reclusa in casa come molti a cucinare e mangiare in continuazione. Fino alla mattina di enorme giubilo in cui “tornammo tutti liberi”. Con un’amica decidemmo di festeggiare cucinando e portando le pietanze dietro casa, cioè direttamente in spiaggia. In quella sfavillante mattinata, mentre passeggiavo sulla battigia tra centinaia di persone esultanti, intravidi in lontananza proprio S., la mia conduttrice. Ci abbracciammo con commossa emozione e mi disse subito che OA era sbarcata su ZOOM.
Ripresi subito le riunioni, stavolta con più concentrazione e assennatezza. Mi aggregai a un gruppo lontano da me 180 km con cui ho imparato moltissimo. Non è stato tutto rose e fiori: ho dovuto lottare contro diversi ostacoli, in particolare lo scoraggiamento. In un frangente io e la mia sponsor litigammo seriamente più volte. Ma ormai avevo compreso quanto fosse importante sorvolare sulle personalità e rimanere saldamente aderenti a OA a ogni costo. Si narra che Annibale abbia detto: “Se non abbiamo una strada ne costruiremo una” ma noi del popolo OA oggi siamo molto più fortunati! Alcune benemerite persone più di 60 anni fa quella strada l’hanno costruita per noi! È il percorso OA, il solo dove possiamo trovare persone che ci comprendono.
In definitiva la mia vita è andata in pezzi più volte. Dallo sport ho introiettato la tenacia. Tuttavia dai principi OA ho imparato a trovare le forze all’interno della mia debolezza per vivere libera dalla prigione della compulsività. Ho iniziato a dividere l’esistenza in compartimenti stagni di 24 ore. Ho cercato l’astinenza, ho desiderato tanto abbandonare i “cibi rossi”. Guardando indietro, lavorando di gomito in una benefica comunità, sono giunta a diversi successi. Ho ad esempio aiutato persone a conoscere OA.
Il recupero è un processo che richiede tempo e ora sto ancora scendendo di peso: il tutto senza mai provare tensione o frustrazione. Anzi, tutto migliorò adottando, ove possibile, una sfumatura d’umorismo, come è raccomandato nel libro Overeaters Anonymous (Appendice C: Una malattia dello spirito, pag. 242). Il programma O.A. è sia un apprendere che un fare. Meno si è passivi e più saranno brevi i tempi di recupero. Oggi sono conduttrice, faccio servizio, diffondo il Programma e ho scolpito in testa a grandi lettere il mio slogan OA preferito: “Vai agli incontri quando vuoi. E vai agli incontri quando NON vuoi”.