È quando il mondo va a dormire che io mangio troppo e compulsivamente. Lo faccio da una vita.
Mantengo un certo equilibrio, una certa compostezza nell’arco di tutta la giornata in maniera quasi spontanea, senza alcuna compulsione o desiderio di assaggiare questo o quello.
Probabilmente questo modo di fare si è instaurato fin dalla prima adolescenza per una serie di cause e condizioni, nulla di particolarmente drammatico ma sufficiente per insinuarsi in me ed evolvere in questa dipendenza così di facile consumo.

Mi sfogavo e strafogavo la sera tardi, in modo tale che per tutto il giorno successivo io non avessi fame; mi punivo il pomeriggio, digiunando allorquando iniziavano i primi morsi della fame, e infine arrivavo ad essere talmente affamata che svuotavo il frigorifero.
Per essere libera di agire lo facevo assicurandomi che tutti fossero andati a letto.
Con la pancia gonfia come un tamburo, dormivo sonni densi come il piombo ma paradossalmente molto tranquilli, come se avessi assunto un sedativo.
La mattina però mi svegliavo molto arrabbiata con me stessa e con il mondo. Ero malata e non lo sapevo!
Se qualcuno mi avesse allertata prima su questa malattia, forse questo comportamento non si sarebbe cronicizzato. Infatti è passato mezzo secolo e per quanto io abbia realizzato che devo fare tre pasti sani e che non devo digiunare, quell’impulso autodistruttivo mi coglie sovente a quell’ora tarda, come se si fosse incisa a fuoco su di me un’abitudine malsana difficile da cancellare, un solco nel granito.
Per me il cibo, la sera tardi, era da sempre il conforto a fine giornata con cui riuscivo in qualche modo a gestire le emozioni. Ora che sto lavorando sul programma, posso dire che, in realtà, “credevo” di riuscire a gestirle. La malattia emotiva lavorava in sordina tutto il giorno per poi manifestarsi alla chiusura, nel buio, nel silenzio, nell’isolamento dal chiasso del mondo al quale io credevo di partecipare degnamente, ma non era così. Molte cose mi ferivano, troppo.
Mi sono sempre sentita un po’ dissociata dalla realtà delle cose, come se vivessi in un mondo tutto mio… mi fa tanta tenerezza quella bambina.
Oggi, grazie a OA, sono più consapevole di ciò che mi accade realmente e anche se il solco è inciso nel granito e non nella sabbia, tuttavia la possibilità di poterci lavorare sopra mi dà una certa fiducia, un giorno alla volta.
Stiamo parlando di solchi impressi nella pietra, ma in OA sono riuscita a incontrare quella bambina “con lo sguardo un po’ perso”. Posso lavorare sul non affamarmi, sul concedermi la disciplina dei pasti sani, sul riconoscere le emozioni, quelle utili e quelle inutili. Posso osservare come queste agiscono su di me nell’arco della giornata, come avviene che mi stanco di giorno e mi perdo all’imbrunire per poi uccidermi la sera.
La donna adulta si stanca di emozioni e si perde. Quindi la bambina immatura prende il sopravvento. Il programma è lo strumento specifico che mi permette di conoscere – capire – crescere, riferendomi ovviamente alla donna adulta. Purtroppo, nell’attimo prima di “perdersi”, i compulsivi notturni hanno serie difficoltà a comunicare per tentare la prevenzione. L’isolamento è amplificato, il mondo dorme. Se solo ci fosse un gruppo ufficializzato che non teme di disturbare a quell’ora tarda perché condivide esattamente quel momento, difficile e delicato, nel buio della notte…